Cattedrale di Grosseto, 21 settembre 2024

Mandato ai catechisti: l’omelia del vescovo Giovanni

Un saluto a tutti voi, cari catechisti e catechiste, con cui iniziamo insieme – attorno alla Parola di Dio e intorno all’altare – l’anno catechistico.

Lo iniziamo con le ultime parole del testo di san Marco che abbiamo proclamato: Chi accoglie un bambino accoglie Gesù e chi accoglie Gesù accoglie il Padre. E’ quanto ogni cammino catechistico deve saper fare: accogliere.

Vorrei sottolineare tre aspetti di questa accoglienza. Il primo: è la comunità che accoglie. Tutta la comunità. Allora vi esorto a parlare nei consigli pastorali parrocchiali di qual è il cammino catechistico che state facendo! Qualche volta, nelle visite pastorali nelle parrocchie, ho chiesto a persone che abitualmente frequentano la comunità: “Che cosa fanno al catechismo?” La risposta più frequente è: “Non lo so… è roba del prete e dei catechisti”. No, è un compito di tutta la comunità! La quale agisce con il parroco e insieme e per il mandato ai catechisti, ma deve essere tutta coinvolta. E’ così che i ragazzi crescono con l’idea non di una scuola, ma di una famiglia che si interessa alla loro crescita. Se non superiamo questo scoglio, valgono le parole dette da un Vescovo della Toscana: “Ci lamentiamo che dopo la cresima i ragazzi vanno via dalla comunità, ma probabilmente non ci sono mai entrati…”. Riflettiamoci.
Parlate, allora, del catechismo non solo alle riunioni dei catechisti, ma in quelle dei consigli pastorali: quale cammino stiamo facendo coi ragazzi? Di cosa parliamo? Come ci proponiamo? Non tanto sulle verità che sono di tutti, ma tenendo conto – ecco l’accoglienza – che una parrocchia ha specifiche esigenze, che una comunità può avere dei problemi che altre non hanno, o delle esigenze specifiche. In altre parole rendersi conto che ogni comunità ha una faccia e ha una storia: è questo che non dobbiamo dimenticare mai.
La parola del Signore, allora, arriva attraverso quelle facce e quelle storia. Coraggio, dunque, parlatene fra di voi.

Il secondo aspetto che vorrei porre alla vostra attenzione è questo: fare catechismo non significa semplicemente dire che i comandamenti di Dio sono dieci, che i sacramenti sono sette e spiegare quali sono ecc… Questo è l’aspetto dottrinale, che ci deve essere, ma che non esaurisce la formazione dei ragazzi. Bisogna introdurre i ragazzi, iniziando dai più piccoli – e occorre molta accortezza e delicatezza – all’altro elemento essenziale della vita cristiana: la carità. In tutte le parrocchie c’è o dovrebbe esserci la Caritas: essa deve entrare dentro il cammino catechistico! I ragazzi devono capire che dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati ecc… non è un’azione che si può fare oppure no, ma che si deve fare e quindi bisogna impararlo. In questo senso la Caritas deve entrare dentro le radici cristiane di ognuno di noi. Anche qui ritorna, però, il discorso fatto sopra: ciò che può essere fatto in una comunità può non essere possibile in un’altra, per cui occorre prestare sempre grande attenzione all’accoglienza, adattandola alle singole realtà. Ogni comunità trovi il sistema che gli pare più opportuno, l’importante è che l’incontro dei ragazzi del catechismo con la Caritas è essenziale per la trasmissione della fede e della pratica cristiana. E’. in fin dei conti, ciò che la vita cristiana ci mette sempre dinanzi e riassunta nel capitolo 2 degli Atti degli apostoli: erano assidui all’insegnamento, alla preghiera, all’unione fraterna, allo spezzare il pane.

Tutto questo deve essere fatto insieme: così i ragazzi cresceranno con la consapevolezza di una comunità.

Poi prenderanno le loro scelte, decideranno che fare della loro fede. E proprio sul decidere che vorrei fissare il terzo aspetto che desidero consegnarvi. Dice sant’Agostino che fides catholica nisi cogitetur nulla est, la fede, se non è pensata, non esiste, non è possibile (S. Agostino, De praedestinatione Sanctorum, II, 5: PL 44, 964). Diventa fumo. Insegnate, allora, ai ragazzi a pensare! Non è facile, non è semplice, ma occorre che imparino a pensare. Devono imparare, qualche volta, a lasciar perdere i telefonini e arrivare a dirsi: io chi sono? Cosa voglio da me? Cosa voglio dalla vita? In altre parole: farsi delle domande. Certo, proporzionate all’età, ma farsi delle domande, altrimenti le nozioni catechistiche scivolano via, diventano quelle notizie secondarie di poco o nessuna importanza.
Insegnategli a pensare! Stimolateli a pensare! Insegnate loro a domandarsi “perchè?” e voi stessi provocateli a rispondere! E’ così che la grazia di Dio farà il suo cammino, altrimenti la fede cristiana rimarrà come un fatto superficiale, che scivolerà via perchè non è stata introitata dentro.

Coraggio, fratelli e sorelle, abbiamo davanti un lavoro bello: quello di predicare Gesù Cristo! Vorrei che leggeste il paragrafo 266 di Evangelii Gaudium, dove il Papa osserva come non sia la stessa cosa vivere con Gesù o vivere senza; non è la stessa cosa pensare a Lui o non pensarci; non è la stessa cosa organizzare la propria vita con Lui oppure farlo senza di Lui. Serve, cioè, il coinvolgimento profondo di ciascuno di noi, con gratitudine: Dio ci ha dato la grazia di poter parlare di Cristo, di poter parlare del Vangelo e soprattutto di poterlo testimoniare!

Non vi scoraggiate di fronte alle difficoltà che pure ci sono! L’avete sentito dagli apostoli nel Vangelo proclamato: si domandavano l’un l’altro chi era il più grande… Gesù aveva parlato della sua passione e loro stavano “perdendo tempo” … Una superficialità che alle volte può giocarci qualche brutto tiro, ma al tempo stesso proviamo la gratitudine di poter parlare di Gesù, che certamente ha riempito e motiva la nostra esistenza.

Grazie da parte mia, grazie da parte della Chiesa e andiamo avanti nel nome del Signore.

Amen!

+Giovanni

(da registrazione)

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