Era stato soprannominato “il giudice ragazzino” per la sua giovane età e per quel volto che sembrava davvero quello di un ragazzino. Ma era tutt’altro che un “ragazzino”, Rosario Livatino, magistrato siciliano, ucciso dalla Stidda a soli 38 anni, il 21 settembre 1990, in un agguato lungo la SS 640 Agrigento-Caltanissetta mentre si reca al lavoro. Il 9 maggio 2021, ovvero 28 anni dopo la storica visita di Giovanni Paolo II in Sicilia, quando, alla valle dei templi, lanciò la sua vibrante condanna pubblica alla mafia, la Chiesa lo ha proclamato beato: la sua memoria liturgica è fissata il 29 ottobre, giorno in cui ricevette la cresima.
Un magistrato santo. Di lui papa Francesco ha detto: “Livatino è un esempio non soltanto per i magistrati, ma per tutti coloro che operano nel campo del diritto: per la coerenza tra la sua fede e il suo impegno di lavoro, e per l’attualità delle sue riflessioni”.
La motivazione del Decreto riguardante il martirio del magistrato agrigentino ripercorre i tratti salienti dell’esistenza di Rosario Livatino: la laurea conseguita nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Palermo, il 9 luglio 1975, con il massimo dei voti; la partecipazione attiva all’Azione Cattolica e alla vita della propria comunità parrocchiale; l’ingresso in Magistratura come uditore giudiziario il 18 luglio 1978; l’esercizio delle funzioni di Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento, meritando la lode del Consiglio Superiore della E Magistratura per la sua intensa laboriosità; l’assunzione, il 21 agosto 1989, delle funzioni di Magistrato del Tribunale di Agrigento, dove svolse le funzioni di giudice della sezione penale; il conseguimento con lode del Diploma della Scuola biennale di formazione in diritto pubblico regionale nell’Università di Palermo. Il Decreto ricorda l’agguato in cui Livatino venne ucciso il 21 settembre 1990 sulla strada statale n. 640 che conduce da Canicattì ad Agrigento, mentre viaggiava da solo, in automobile, per recarsi al lavoro presso il Tribunale;
ricorda che la dinamica dell’omicidio si caratterizzò per la ferocia degli esecutori e per la mitezza della vittima. In fin di vita, infatti, prima del colpo di grazia esploso in pieno volto, Rosario si rivolse agli assassini con mitezza, domandando loro, in un appello estremo al ravvedimento: «Picciò (picciotti, ragazzi) che cosa vi ho fatto?»; ricorda che la causa dell’omicidio, accertata con sentenza passata in giudicato, fu la «dirittura morale» del magistrato «per quanto riguarda l’esercizio della giustizia radicata nella fede»; ricorda infine che durante il processo penale emerse che il capo di uno dei gruppi mafiosi dominanti nel territorio dell’agrigentino «lo definiva con spregio santocchio per la sua frequentazione della Chiesa», aggiungendo che l’agguato era stato in un primo momento pianificato addirittura dinanzi alla chiesa in cui quotidianamente egli faceva la visita al Santissimo Sacramento. Il Decreto, infine, definisce che Rosario Livatino «era consapevole dei rischi che correva» e che continuò a esercitare il suo ministero di magistrato con rettitudine, giungendo «ad accettare la possibilità del martirio attraverso un percorso di maturazione nella fede», divenuta con il trascorrere del tempo sempre più consapevole e viva. Il Decreto proclama che la sua testimonianza cristiana fu intessuta dalla partecipazione ai sacramenti e dalla preghiera assidua e che egli rifiutò la scorta per non esporre a pericoli altre persone, preferendo accettare il rischio per la sua vita piuttosto che pregiudicare l’esistenza di persone la cui morte avrebbe lasciato «vedove e orfani».
Conclude, infine, ricordando che Rosario si affidava, nei momenti di scoraggiamento, al Signore e che egli viveva costantemente
confidando nella protezione di Dio, come è attestato documentalmente dalle sue agende personali dove appare sistematicamente la sigla S.T.D (Sub Tutela Dei).
Di lui, della sua storia di uomo, magistrato e cristiano si parlerà a Grosseto martedì 16 gennaio, grazie all’Azione cattolica diocesana, che assieme all’Ordine degli avvocati della provincia di Grosseto, promuove un incontro pubblico presso l’aula magna 2 del Polo Universitario Grossetano, a partire dalle ore 16.
L’iniziativa ha il patrocinio della Provincia e del Comune di Grosseto e la collaborazione dell’ufficio diocesano per le comunicazioni sociali e della Fondazione Polo Universitario Grossetano.
A parlare di “Giustizia e coscienza nel magistrato Rosario Livatino: l’attualità del messaggio” saranno tre diverse voci. Quella di Domenico Airoma, Procuratore della Repubblica ad Avellino e vice presidente del Centro studi intitolato alla memoria del magistrato martire; quella di don Giuseppe Livatino, sacerdote dell’arcidiocesi di Agrigento che è stato postulatore della causa di beatificazione di Rosario; Vincenzo Spagnolo, giornalista di Avvenire. A coordinare l’incontro sarà l’avvocato Giuseppe Nicosia.
L’evento è valido per gli iscritti all’Ordine degli Avvocati ai fini del riconoscimento di n. 2 crediti formativi deontologici e di 1 in materia penale. Iscrizione tramite Sfera.